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TAUMATROPIO, FENACHISTOSCOPIO, ZOOTROPIO, PRASSINOSCOPIO  

Nel 1824 venne inventato il taumatropio, un semplice dispositivo composto da un dischetto di cartoncino fissato a due fili, con un’immagine diversa su ciascuna faccia. Quando il disco veniva fatto ruotare rapidamente, le due immagini si sovrapponevano nella percezione visiva, generando l’illusione del movimento grazie al principio della persistenza retinica

Nel 1833, il fisico belga Joseph-Antoine Plateau ideò il fenachistoscopio, uno dei primi strumenti in grado di creare animazioni cicliche. Era costituito da un disco montato su un manico, ruotabile su se stesso, con una serie di fessure regolarmente distanziate lungo il bordo. Sul lato interno del disco venivano disegnate sequenze di immagini. Guardando attraverso le fessure mentre il disco ruotava di fronte a uno specchio, lo spettatore percepiva le immagini come un’unica animazione in movimento. 

L’anno successivo, nel 1834, William George Horner perfezionò l’idea alla base del fenachistoscopio creando lo zootropio. Simile nella forma, lo zootropio era costituito da un tamburo cilindrico rotante, con fessure verticali lungo i bordi superiori, e al suo interno venivano inserite strisce di carta illustrate con immagini in sequenza. Ruotando il tamburo e osservando attraverso le fessure, lo spettatore percepiva un’animazione fluida. Rispetto al suo predecessore, lo zootropio consentiva una visione collettiva e non richiedeva una distanza ravvicinata. Tuttavia, le sequenze illustrate erano necessariamente brevi, rendendo possibile solo la rappresentazione di scene semplici o sperimentali. In alcune versioni, grazie all’uso di specchi e illuminazione appropriata, le immagini potevano anche essere proiettate su uno schermo. 

A sua volta, lo prassinoscopio, ideato nel 1877 da Émile Reynaud, rappresentò un ulteriore passo avanti nell’evoluzione di questi dispositivi. Come lo zootropio, utilizzava immagini disposte lungo la parete interna di un cilindro rotante, ma introduceva una novità fondamentale: al centro del cilindro era collocata una serie di specchi inclinati a 45°, in numero pari alle immagini. Gli specchi riflettevano le figure, creando un’animazione più nitida e continua, senza la necessità di osservare attraverso fessure. 

Questa configurazione permetteva una visione diretta e più ampia, migliorando l’esperienza visiva e ampliando il campo percettivo. Sebbene si potesse notare una lieve sfocatura nelle immagini in movimento, il prassinoscopio segnò una svolta verso una rappresentazione più coinvolgente e fluida del movimento animato.