La pellicola è il supporto utilizzato nel cinema per registrare immagini e suoni. Ha diverse funzioni nelle varie fasi della produzione e distribuzione di un film: dalla ripresa delle immagini (ancora oggi spesso fatta su pellicola, nonostante l’uso via via più crescente del digitale), fino alla proiezione, che avviene tramite copie stampate da un duplicato del negativo originale.
La pellicola è un nastro lungo e sottile, realizzato in triacetato di cellulosa o, più recentemente, in poliestere (come il polietilene tereftalato), materiale molto resistente e leggero. È rivestita da uno o più strati di emulsione fotosensibile, dove minuscoli cristalli di alogenuri d’argento sono dispersi in una gelatina trasparente.
La pellicola in bianco e nero ha un solo strato di emulsione sensibile alla luce, mentre quella a colori ne ha tre, sovrapposti. Quando i cristalli vengono colpiti dalla luce durante la ripresa, subiscono trasformazioni chimiche che li fanno scurire durante lo sviluppo. I cristalli non colpiti, invece, vengono eliminati, lasciando zone chiare sulla pellicola. Questo processo produce un’immagine negativa della scena originale.
Nel caso della pellicola in bianco e nero, ogni punto dell’emulsione reagisce in base all’intensità della luce ricevuta: più luce arriva, più scura sarà la zona corrispondente, e viceversa. Nella pellicola a colori, ciascuno dei tre strati sensibili risponde a una diversa gamma di colori: blu-violetto, verde e rosso, procedendo dalla superficie esterna verso l’interno. Per evitare che la luce blu penetri troppo in profondità, tra il primo e il secondo strato è presente un filtro giallo che blocca queste radiazioni.
Nella pellicola a colori per negativi, dopo lo sviluppo e la rimozione dell’argento attivato dalla luce, l’immagine risultante ha colori complementari rispetto a quelli originali: giallo al posto del blu, magenta al posto del verde e ciano al posto del rosso.
Una caratteristica importante dell’emulsione è la finezza della grana, che permette di ingrandire molto l’immagine (come avviene nella proiezione) senza perdere qualità. Tuttavia, una grana fine riduce la sensibilità della pellicola alla luce, motivo per cui spesso si usano potenti illuminazioni durante le riprese. La sensibilità dipende soprattutto dalla dimensione dei cristalli: più sono grandi, più la pellicola è sensibile, ma l’immagine risulta più granulosa; più sono piccoli, maggiore è la qualità dell’immagine, ma la sensibilità cala.
Per poter essere trascinata correttamente nelle cineprese e nei proiettori, la pellicola ha una serie di perforazioni regolari lungo i bordi. Il formato standard della pellicola cinematografica è 35 mm di larghezza. In questo formato, ci sono due file di fori su entrambi i lati, con quattro coppie di perforazioni per fotogramma e una distanza (passo) di 4,75 mm tra i fori.
Nella pellicola da 35 mm, la traccia sonora ottica (che ha sostituito quella magnetica) si trova lungo il bordo destro, accanto ai fori. Le tracce sonore digitali sono anch’esse presenti e posizionate in diversi punti, a seconda del sistema.
Oltre al 35 mm, per film ad ampio formato e spettacolo visivo sono stati utilizzati anche formati più grandi, come 56 mm e 70 mm.
I formati ridotti
La storia del cinema in formato ridotto è essenzialmente una storia di innovazioni tecnologiche che hanno reso possibili pellicole e apparecchiature più leggere, maneggevoli, economiche e sicure, ossia non infiammabili. Fu solo all’inizio degli anni Venti, dopo numerosi tentativi nei decenni precedenti, che il formato Pathé-Baby 9,5mm riuscì a soddisfare i requisiti fondamentali per una diffusione al di fuori del circuito professionale. Contemporaneamente, nacque il formato 16mm, creato dalla Kodak, il quale, inizialmente destinato all’uso amatoriale, nei decenni successivi trovò largo impiego anche in ambito professionale. Negli anni successivi, arrivarono i formati 8mm (1932) e Super8 (1965), che ottennero una vera e propria diffusione di massa.