ROOM 666

Lu­ne­dì 20 mag­gio alle 21.15 ri­tor­na a Ci­ne­ma­ze­ro in lin­gua ori­gi­na­le con sot­to­ti­to­li in ita­lia­no Room 666 di Wim Wen­ders. 
Du­ran­te il Fe­sti­val di Can­nes del 1982, il re­gi­sta Wim Wen­ders ha chie­sto a di­ver­si re­gi­sti ci­ne­ma­to­gra­fi­ci (tra cui Mi­che­lan­ge­lo An­to­nio­ni, Rai­ner Wer­ner Fas­sbin­der, Jean-Luc Go­dard, Wer­ner Her­zog, Ste­ven Spiel­berg) di an­da­re, uno alla volta, in una ca­me­ra d'al­ber­go e da­van­ti alla te­le­ca­me­ra, in so­li­tu­di­ne, di ri­spon­de­re a una sem­pli­ce do­man­da: "Qual è il fu­tu­ro del ci­ne­ma?". 
Wen­ders sce­glie l'im­per­so­na­li­tà di una ca­me­ra d'al­ber­go vuota, abi­ta­ta solo da una vi­deo­ca­me­ra, un ma­gne­to­fo­no, una pol­tro­na e un te­le­vi­so­re per re­gi­stra­re su pel­li­co­la vi­sio­ni sul fu­tu­ro del ci­ne­ma espres­se da suoi col­le­ghi. 
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Room 666 trat­ta in par­ti­co­la­re della morte del lin­guag­gio ci­ne­ma­to­gra­fi­co le­ga­to alla pel­li­co­la” -  ha di­chia­ra­to il re­gi­sta - “del­l’e­ste­ti­ca del ci­ne­ma che è di­ver­sa da quel­la del video. Un’in­te­ra ge­ne­ra­zio­ne di spet­ta­to­ri ha già per­du­to que­sto lin­guag­gio, ne ha per­du­to il senso. Re­sta­no im­pres­sio­na­ti da qua­lun­que cosa, per­ché il ci­ne­ma odier­no tende sem­pre più a im­pres­sio­na­re. Que­sta, per me è la morte del ci­ne­ma. Na­sce­rà qual­co­sa di dif­fe­ren­te: e, forse, si chia­me­rà an­co­ra ci­ne­ma.”